
Pazienza Signora, qui siamo al Sud
Venerdi 10 Giugno 2011 ’ Gazzetta del Mezzogiorno ’
Lascia un Commento Inserito da Lino Patruno
Cosa ci vuol fare, signora: qui siamo al Sud. E’ probabile che il vigile urbano non si rendesse conto di aver detto qualcosa molto più grande di lui. Rispondeva allargando le braccia a una signora che lo invitava a redarguire dei ragazzi che sfasciavano la panchina di un giardino. Siccome siamo al Sud, si sfascia la panchina anche se non si dovrebbe. Ed è inutile intervenire, perché comunque tutti fanno ciò che non si dovrebbe. E non vorrà, signora, che cominciamo proprio ora e proprio io a cambiare. Non sono mica un fanatico.
E’ la legge secondo cui le cose vanno come devono andare. Il fatalismo del non cambia mai niente. Come se tutto stesse scritto nel cielo e fosse inutile opporsi.
La mitica mancanza di senso civico dei meridionali, su cui si sono esercitati fior di sociologi, a cominciare dall’americano Robert Putnam. I meridionali incapaci di rispettare la panchina pubblica come se fosse la panchina del giardino di casa loro. Ma la panchina pubblica è di tutti, quindi di nessuno: e ciascuno ci fa ciò che vuole.
Ma la panchina pubblica, senza neanch’essa saperlo, è molto di più. E’ l’emblema dello Stato, o di chi per lui, cioè qualcuno per il quale il Sud non ha mai tifato. Perché lo Stato non ha mai tifato per il Sud. Verso il quale ha sempre avuto la faccia bieca dell’esattore delle tasse. 0 quella arcigna della pubblica amministrazione che complica invece di facilitare. 0 quella che non dà il posto di lavoro. O quella che tollera i privilegiati, gli spregiudicati, i dritti cui rispondere appunto cercando di essere più dritti degli altri: i ragazzi sfasciatori più dritti della signora che vorrebbe intervenire, con lo Stato (il vigile urbano) che li protegge, o fa finta di niente.
Se la signora non è una timorata di Dio, la prossima volta sfascerà pure lei. Perché lo Stato al Sud non è solo quello che lo ha lasciato nel sottosviluppo, anzi lo ha condannato. Ma quello che, forse col complesso di colpa, non interviene mai con la sanzione ogni volta che una panchina è sfasciata, una carta è buttata per terra, un semaforo rosso è ignorato. E senza sanzione, piacerà o no, non c’è comunità civile che tenga, perché nessuno nasce santo. E non c’è comunità civile che tenga senza partecipazione, cioè senza che io e tu cittadini siamo convinti che la panchina non solo è stata pagata con le tasse di tutti, ma che chi la sfascia pagherà due volte.
Una comunità civile non può reggersi sull’esclusione di qualcuno. E gli esclusi sono i senza lavoro, gli emarginati, i deboli. O comunque coloro i quali qualcosa vogliono farla ma non sono aiutati, o perlomeno non sono ostacolati, da condizioni che rendono tutto più difficile: come avviene normalmente al Sud abbandonato dallo Stato. Allora la comunità vive nel risentimento e nel rancore, e sul risentimento e sul rancore si fonda l’inciviltà non la civiltà. E tutte le panchine sono sfasciate.
Dice: ma perché non avviene al Nord? Perché li sono civili? No, nascono trogloditi come tutti. Non avviene perché li non hanno mai vissuto il senso di abbandono come al Sud. E quindi non crescono con la mentalità: se trascurano me, io trascuro chi mi trascura. Anzi gli imbratto i muri e gli butto i rifiuti fuori dal cassonetto. Tanto che, ora che si sentono abbandonati anche loro e non difesi nella loro ricchezza acquisita, è nata anche al Nord la società del rancore che vorrebbe recintare ogni quartiere con fuochi e filo spinato.
E’ certo che un ragazzo del Sud che vive al Nord non pensi affatto a sfasciare una panchina. Primo, perché tutto funziona meglio e ha poco da essere arrabbiato se non per il suo destino di emigrante. Secondo, perché dove funziona tutto, tutti vigilano perché continui a funzionare, compresa la panchina. Una forma di controllo sociale. Se sgarri e la signora protesta come al Sud, non ci sarà un vigile urbano che dica: che ci vuol fare, qui va così.
E’ una conferma della regola secondo cui l’uomo è anche ciò che l’ambiente gli consente di essere. Compreso il conto in banca. Perché tanti meridionali hanno contribuito a far grande il Nord mentre a casa loro non riuscivano a combinare niente? Se erano cretini, avrebbero dovuto restarlo. E non c’entra neanche il clima, visto che ora Milano è più calda di Bari. E si capiscono, ma magari non si giustificano, i meridionali che disprezzano il Sud dal quale sono partiti.
Perché li ha costretti a partire. E perché continua a non crescere, anzi continuano a impedirglielo. Malattia per la verità ormai italiana, visto che un Bill Gates nel Belpaese avrebbe fatto al massimo l’elettricista e non il re dei computer.
Ecco perché quel vigile urbano ha detto qualcosa più grande di lui. Ecco perché lo Stato dovrebbe proteggere chi denuncia gli sfasciatori di panchine. Ecco perché il Sud deve ribellarsi alle condizioni che lo tengono sotto. Perché l’altra regola è che nulla resta mai come prima. Peggiora.
da “La Gazzetta del Mezzogiorno” del 10 giugno 2011
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