Sabato 6 marzo 2021 da < La Gazzetta del Mezzogiorno>
Questa volta quel terrone di
Terrone non ne ha potuto più. Ma come, si mette a sfottere i meridionali
proprio quell’Accademia della Crusca che dovrebbe trattare allo stesso modo
Nord e Sud? Allora va da un avvocato e cita in giudizio presso il tribunale di Nocera
Inferiore la massima istituzione a difesa della lingua italiana e non solo.
Reato contestato: aver spiegato <terrone> come <contadino, villano,
burino o cafone>, insomma da agricoltura arretrata come chi vi lavora. O
figli di una terra ballerina per i terremoti, come se ci fossero stati solo al
Sud. O persone dal colore scuro della pelle, simile alla terra. Tutto ciò che,
dice l’avvocato del querelante, lede l’onore e il decoro di chi usa il suo
cognome per lavoro, <provocando danno ingiusto> che va risarcito.
NEL COVO DEI NORDISTI Perché questo Francesco Terrone di Mercato
San Severino (Salerno), sessant’anni, di professione ingegnere, da tempo ha
dimostrato di non essere uno che si fa, come si dice, passare la mosca al naso.
Basti pensare a quando, indifferente a ogni rischio, da
giovane ingegnere alle prime armi va a fare una supplenza in una scuola di
dove? Di Lecco, allora covo della Lega Nord, quella che voleva deportare tutti
i meridionali in Africa. Manco a dirlo che, quando entra in classe e si
presenta, i ragazzotti già iniettati di razzismo si diano di gomito tra
risolini e ammiccamenti. Trovando l’insperata complicità di un moscone che,
entrato ignaro dell’atmosfera del momento, viene spiaccicato al muro al grido
di cosa? Ma di <Crepa, terùn>. Roba da sprofondare.
Ci fosse stato già allora un Checco Zalone, se
li sarebbe fatti tirati al sugo col peperoncino. Ma pur sembrando un film tipo
<Benvenuti al Sud> o <Benvenuti al Nord>, questa di Francesco
Terrone è storia vera. Raccontata anni fa da un libro di Aldo Forbice, siculo
doc ancorché noto giornalista e conduttore di successo del radiofonico
<Zapping>. Insomma non volendo il nostro emigrante Terrone e terrone
morire docente precario, ed essendo uno che, invece di lasciare, raddoppia,
appunto raddoppia sempre più sprezzante del pericolo. Va a bussare a una
azienda di Oggiono, sempre nel Lecchese. Dove gli dicono col notorio stile alla
Bossi, che sul terrone possono chiudere un occhio, ma sul Terrone non se ne
parla neanche. Vada a cambiarsi il cognome. Fu come dire a un vegano di farsi
una grigliata. Aggravata dai dubbi sulla sua laurea in ingegneria meccanica
all’università Federico II di Napoli, un Terrone e terrone non può che essere
un morto di fame.
Il resto è vergogna da profondo Nord tanto
ricco quanto miserabile. La madre piange quando il nostro Terrone glielo
racconta. Un prete lumbard al quale si era confidato gli risponde con
indifferenza più che solidarietà cristiana. Ma un sermone pubblico a suo favore
gli è riservato da quel santo del cardinale Martini che era santo anche per
questo. Finché ci pensa la polizia a riprecipitarlo quando, mentre è con due
amici su un ramo del manzoniano lago di Como, li arresta e li perquisisce come
malavitosi. Non sono i meridionali lombrosianamente delinquenti nati? Qualsiasi
terrone avrebbe potuto rimanerne schiantato, ma non Terrone. Il quale prima
manda 501 rose al succitato Bossi, col piccolo particolare che erano rose
bianche rosse e verdi come la bandiera da far venire l’itterizia al senatùr.
Poi dimostra di cosa sia capace la fatica da meridionali.
TORNA VINCITOR Dall’età di nove anni aveva
aiutato il padre in un’officina o al distributore di benzina studiando anche.
Quando torna al paesino dal Nord, crea un’azienda specializzata in sicurezza
del lavoro (Sidelmed spa) che diventa leader nazionale impiegando ingegneri
come lui più architetti e periti. Apre sedi a Roma, Milano, Napoli, Bologna,
Salerno, Avellino, Matera. Opera con mezzo mondo. Io voglio che i nostri
ragazzi non emigrino più, dice. Anzi lui a quelli del Nord il lavoro finisce
per portarlo invece di chiederlo. Perché apre un’altra sede indovinate dove? Ma
a Legnano, con ritorno da vincitore nel territorio del nemico. Il fatto è che
uno come Francesco Terrone non te lo giochi così. Poeta, scrittore, editore,
animatore culturale, fra i suoi avi vanta tal don Luigi il Conquistador,
comandante della Guardia borbonica nel 1700. Ma anche un nonno materno dal
cognome Bergamo, fra i ragazzi del ’99 che insieme ai meridionali difesero
l’Italia a Caporetto. Unità d’Italia in trincea, altro che quei minchioni di
Lecco.
Ovunque vada nel Belpaese, l’ingegner Terrone
raccoglie un po’ di terra che vuole sia sparsa tutta insieme sulla sua tomba
quando sarà. Qui giace un Italiano. Però la Crusca proprio no, la purezza della
lingua non può consentirsi di infangare nessuno. Magari questa volta lui ha
alzato un po’ il tiro, ma vivaddio almeno la Crusca non dovrebbe essere una
Curva Nord. Coi terroni non si scherza più specie se sono della schiatta di un
Terrone.