Sabato 5 giugno 2021 da < La Gazzetta del Mezzogiorno>
La nuova malattia è la
chattite acuta. Cioè tutto affidato a WhatsApp, come se avere una voce fosse
una malformazione genetica. “Ma che domanda è?” ti risponde la figlia se le
chiedi perché scrive all’amica invece di chiamarla a telefono. Perché bisogna
capirla: quando lei è nata già non lo si faceva più. Possiamo prendercela con
lei se non sa cosa sia un apparecchio fisso o un francobollo o una foto in
carta o un dado per il brodino? Scomparsi come dinosauri. E se qualcuno non
informato la telefonata la fa, è uno “strano” che chissà che vuole. Ora ci si
parla senza parlarsi, ci si vede senza vedersi, ci si innamora senza toccarsi.
Prima o poi nasceremo da remoto, se si nascerà ancora.
PING PONG H 24 Il telefono è la tua voce
sembra roba da guerre puniche. Quando si chiamava Sip e ti allungava la vita.
Ma non solo i giovani, specialisti nel farti sentire inadeguato come uno
sciatore nel Sahara. Ormai ci sono in giro più chat che esseri umani. E su
tutto, mica solo sulla chiacchiera così tanto per. Chat in cui si parla di
politica, di economia, di cinema. Chat per fare lezioni universitarie. Chat di
genitori con figli dello stesso asilo, chat di condomini, chat di feste, chat di spritz, chat di tifosi, chat di quartiere
come se fossero ronde. In fondo un modo di essere connessi su interessi o
problemi comuni. E con le quali si riducono le distanze non solo geografiche.
Se di questi tempi volessi concordare in presenza il regalino di fine anno alla
maestra, sarebbe più complicato di un’intesa fra due virologi sul Covid. Allora
chat.
Il fatto è che i chattisti smentiscono il
sociologo McLuhan secondo il quale il mezzo è il messaggio. Nel senso che il
messaggio somiglia al mezzo che usi. In televisione è emotivo come possono
esserlo le immagini. Sulla chat dovrebbe essere sintetico e sporadico proprio
quando serve. E invece dalla mattina alla sera sono un flusso ininterrotto con
un affanno da terapia intensiva. Chiedendosi se i più incalliti riescano a fare
altro, oltre che digitare più forsennati di un Hamilton in un autodromo. E con
argomenti spesso più complessi della fisica quantistica. In un botta e risposta
in tempo reale che neanche una partita di ping pong. Il cui mezzo inadeguato fa
il messaggio inadeguato.
GUERRA CIVILE Perché il linguaggio asmatico di
certe chat da massimi sistemi non ha sfumature, non ha toni, non ha inflessioni,
non ha sguardi, non ha mezze tinte. Specie quando invece di parlare si discute.
Essendo invece questo linguaggio chattistico più lapidario di una sentenza, più
affilato di una coltellata, più bruciante di una scudisciata. Non potendo
essere interpretato ma solo subìto. Non esiste più lo scusa, che volevi dire?
Con equivoci, malintesi, incomprensioni, interpretazioni che a voce non ci
sarebbero. Perché da una voce ti accorgi se ci si vuole capire o sfregiare, se
ci si vuole confrontare o dilaniare, se si vuole discutere o farsi male. Le
chat sono il più grande moltiplicatore di guerre civili del momento.
Più che chat, le chat sono un caso
psichiatrico. Nelle quali sempre più spesso sei infilato a tua insaputa. Nelle
quali trovi sempre quello che introduce un argomento a cavolo. E cui non
affidiamo solo gli auguri col cuoricino. Ma un Mezzogiorno di fuoco in cui se
non spari per primo non sei più. Inutile ripetere che non si prestano a tutto
oltre il cacchieggio. E sarebbe bello se di tanto in tanto ci si affidasse a
quel reperto preistorico che è la lingua. Invece si chatta allo stesso ritmo
col quale prima si apriva bocca. La chat è la nuova pandemia da zona rossa.