Sabato 2 gennaio 2021 da < La Gazzetta del Mezzogiorno>
<Non sento niente>: ha
ragione il <New York Times>. Certo, in questi lunghi mesi di virus la
parola che abbiamo più usato è appunto virus, mica ostriche e champagne. Ma
tolto il virus tanto era uno di casa anche se non era il tuo tipo, per il resto
è stata tutta una guerra più incivile che civile, una guerra all’ultimo
sintomo. Una guerra con lui, col computer. O col suo compare cellulare. E se
qualcuno non ha mai urlato <non sento niente>, non deve essere un essere
umano, ma una creatura mitologica più rara di un Renzi senza spocchia o di un
interista che vince con la Juventus. Perché, più che nel mondo-mondo, abbiamo
vissuto su una piattaforma, una di quelle che ti dovevi connettere (altra
parola virale) non solo per mettere i <mi piace>, non solo per lavorare,
ma anche per non sentirti in quarantena (eccola là) pur senza essere positivo
(che vuol dire il contrario di positivo).
LE PAROLE PER DIRLO Non per pacifismo, ma al
solo scopo di evitare la recidiva, dimentichiamo le giornate di bile per ottenere
il codice di accesso, quello per entrare appunto sulla piattaforma. Più facile
capire cosa è la fisica quantistica. E se avevi non diciott’anni ma
diciott’anni e un giorno, già passavi per il solito rimbambito (versione più
urbana del termine più in voga) incapace di un rapporto umano con le nuove
tecnologie. Perché quando ritenevi di aver seguito tutte le istruzioni, quando
avevi camminato filo filo tra le password e gli account manco avessi il Pulo di
Molfetta sotto, quando dovevi dare la cliccata finale per entrare in quel posto
più odiato di una intensiva, rimanevi agghiacciato da una scritta
<error>più inesorabile di una sentenza capitale e capace di far diventare
un serial killer anche un monaco trappista. Senza misericordia: <error>.
Roba da suicidio in massa come i delfini.
E’ il bello della vita da remoto, bellezza. E’
il bello di Skype e delle videochiamate. Dove quando va tutto bene hai la
faccia serena come l’<Urlo> di Munch. Con luci da lampada votiva o
sparate come lampioni. Con inquadrature da musei delle cere. E soprattutto quel
<non sento niente>, anche se avevi trattato l’icona del microfono come
Mohammed Alì faceva con la faccia di Frazier. Tanto da farti seguire la
videoconferenza a flash sussultori come un film di Charlot. Da farti maledire
il giorno in cui qualche pericolo pubblico ha inventato un ordigno che si
chiama webinar. Lasciandoti con la stessa espressione gioiosa di uno che ha
perso il treno o è appena uscito dal dentista o non riesce a digerire le seppie
ripiene.
E dei Dpcm ne vogliamo parlare? Dpcm che
quando stavi cenando e vedevi la faccia di Conte in tv, capivi per intuito che
non ti avrebbe annunciato l’abolizione delle tasse o un viaggio gratis alle
Maldive per tutta la popolazione. Decreti presidente consiglio dei ministri che
erano peggio di una colonscopia. E ciascuno dei quali ti faceva un tale casino
di zone gialle, arancioni e rosse da farti diventare daltonico per legittima
difesa. E non ci siamo fatti neanche il Natale perché pure in due come
poveretti era un sospetto assembramento (altra parola da svegliarsi la notte e
non per la prostata).
TAMPONATI E RISTORATI Così una parola dopo
l’altra, un termoscanner dopo l’altro se ne è andato un anno ché poi dici che
per scacciarlo l’ultimo dell’anno non spari tric e trac che neanche lo sbarco
in Normandia. Proibiti anche loro, benché mai come la mezzanotte appena passata
non è stata una mezzanotte ma un anniversario della bomba di Hiroshima.
Lasciamo stare la parola <mascherina>, tanto oramai ce l’abbiamo incollata
anche sotto la doccia. E lasciamo stare la parola <congiunti> ché non
abbiamo ancòra capito se con fratelli e sorelle siamo più fratelli e sorelle o
più congiunti. E il <tampone> diventato più di casa del caffelatte la
mattina. E la DAD e il NAD e il CAD, la didattica a distanza che quando andiamo
a scuola non ci andiamo e ha contagiato anche il Natale a distanza e il
Capodanno a distanza col metro di distanza che calcoliamo ad occhio manco fosse
a raggi laser. E finora eravamo convinti che i virologi fossero quelli virili
con i muscoli mentre sono quelli esperti che stanno sempre in tv invece di
stare di testa su un microscopio dove fanno meno danni.
Così fra uno <smartworking> e l’altro,
andare a lavorare senza andare a lavorare. Fra una pizza da asporto e l’altra
perché te la puoi fare solo a casa e che pizza sciapita è. Fra una
autocertificazione e l’altra che avremo tutti il naso di Pinocchio. Fra una
coda e l’altra anche per comprare due cicorie. Fra un ristoro e l’altro che non
vuol dire andare a mangiare una cosa al bar di sotto ma
chiedere il rimborso al governo tanto chi se ne frega del debito che pagheranno
figli e nipoti. Fra una parola e l’altra siamo arrivati alla parola vaccino che
molti medici non vogliono farsi. Staremo buoni solo se li infilzeranno tutti
sotto tortura.