Venerdì 5 febbraio 2021 da < La Gazzetta del Mezzogiorno>
Non era amico del Sud e non lo è Renzi, tenace
fino al lucido disegno di far cadere il governo, vedi caso quello a più intensa
presenza meridionale della storia. Tanto da far sospettare che si muovesse
spinto da oscuri mandanti. Governo peraltro abbastanza sbiadito verso le attese
europee per il Sud, tranne che non cambiasse dopo. Dopo, quando il famoso Piano
di ripresa e resistenza non sarebbe stato finalmente presentato a Bruxelles. E
che secondo l’indicazione della Von der Leyen e compagni, deve destinare al Sud
una percentuale vicina al 70 per cento dei 209 miliardi concessi. E proprio
perché quando parla di divario di reddito e di disoccupazione inammissibili,
l’Europa gli dà nome e cognome di Sud.
Che Draghi sia (col presidente Mattarella)
l’italiano più stimato in Europa è più chiaro di una primavera mediterranea.
Stimato benché sia stato accompagnato dalla periodica
opposizione da parte dei cosiddetti Paesi frugali, quelli nella cui lingua
debito si traduce peccato. E una opposizione di quel mondo delle banche
paradossalmente considerato un suo difetto di origine, lui proveniente dalla
famosa e non incontaminata finanza internazionale. Ma che poi (con la Merkel)
nessuno abbia fatto quanto lui per l’Europa è altrettanto chiaro.
Perciò ci si aspetta che questa sua Europa ora
non la tradisca col Recovery. Anche perché nessuno come lui sa che il problema
dei problemi in Italia non è appunto il debito, che schizza vertiginoso come
uno sciatore fra i paletti. E che, pur salendo ora il debito da virus a livelli
che faranno piangere i nostri figli e nipoti, il problema vero è che da
vent’anni almeno il Paese non cresce. E non cresce perché ogni politica fin qui
adottata dai governi consente di crescere sia pure a stento a una sola parte
del Paese. Come se un Paese qualsiasi si potesse consentire di rinunciare a una
sua seconda capacità di sviluppo per l’egoismo di chi vuole tutto danneggiando
sé stesso e gli altri.
Perché questo è il Paese della locomotiva del
Nord. Quello che parte dalla chimera che, puntando sempre su chi sta meglio,
alla fine starà un po’ meglio anche chi sta peggio. E invece stanno male tutti,
come la crescita ai limiti della decrescita conferma. La locomotiva del Nord
vorrebbe essere preferita anche col Recovery, perché chi sta meglio sarebbe più
efficiente e più in grado di spendere bene. Magari con un altro Mose di
Venezia, ogni euro una tangente. Locomotiva da preferire facendo continuare a
mancare al Sud asili nido, treni veloci, ospedali, scuole, università, le
condizioni per intraprendere. Anche se al Sud continuasse ad esserci il doppio
della disoccupazione giovanile e il triplo delle famiglie povere. E anche se
tutto questo continuasse a significare violazione della Costituzione, secondo
la quale nascere a Crotone non deve essere diverso dal nascere a Brescia.
Razzismo geografico.
Un uomo che rappresenta Mattarella custode
della Costituzione non potrebbe ignorare tutto questo. Non potrebbe e dovrebbe
ignorare che questo è un Paese in cui le riforme sono più essenziali
dell’ossigeno in una terapia intensiva. E che la più grande riforma economica e
sociale è la coesione territoriale. Una vera strategia a livello di un Draghi.
La condizione non solo per la crescita di tutti, finalmente. Ma condizione
perché l’Italia non imbocchi il viale del tramonto fra le grandi nazioni.
L’Italia cresce solo se cresce il Sud, lo
stesso Draghi lo disse da governatore della Banca d’Italia. Come egli stesso si
è detto contrario a quei sussidi che ingannano il Sud al posto degli
investimenti. E pochi come lui si sono mostrati preoccupati per i giovani,
s’immagina a cominciare da quelli che dal Sud sono costretti a partire. Perciò
se ci si chiede se Draghi sia una buona notizia per il Sud, la risposta pesa
sul Sud quanto su di lui. Egli dovrebbe quindi sapere quanto serve e cosa serve
a quell’Italia che fino a poco fa ha difeso come pochi stando a Francoforte.
Serve il Sud. Si faccia una passeggiata dove ci sono tutte le risposte ai
problemi del Paese.