Venerdì 15 gennaio 2021 da < La Gazzetta del Mezzogiorno>
Mettiamo che ci sia un Paese
che si chiama Allegrezza. Nel quale ci sono più di seicento morti al giorno per
un virus maledetto. Nel quale di questo virus che uccide ormai da un anno si
attende una terza ondata che lo farà uccidere almeno fino a luglio. Nel quale
si vive la più grave crisi economica del dopoguerra. Nel quale è appena
iniziata una immane vaccinazione di massa che già stenta tra furbizie e
privilegi. Nel quale non ci si può muovere come persone libere e c’è il
coprifuoco. Nel quale centinaia di imprese chiudono ogni giorno e migliaia di lavoratori
vanno verso il licenziamento. Nel quale milioni di studenti non riescono ad
andare a scuola. Nel quale vorrebbero calarsi mille mani sugli aiuti europei
per soccorrerlo. Ebbene cosa fa questo Paese invece di stringersi per non
crollare? Fa una crisi di governo della quale si ignorano bene le ragioni. E le
conseguenze. Della quale non vorrebbe interessarsi. Che non lo appassiona
affatto.
La maggior parte della gente di questo Paese
dice di non sapere se il suo Paese sia più folle o più sventurato. E che
davvero facevano bene gli dei a far ammattire quelli che volevano perdere.
Questo Paese chiamato Allegrezza di tutto aveva bisogno tranne che di una crisi
di governo. Un Paese in cui c’è un presidente tanto solo quanto l’unico a poter
evitare una catastrofe. E un Paese in cui la democrazia per fortuna consente a
chi non è d’accordo, e ritiene di averne le ragioni, di dirlo. Ma in cui questa
svagata democrazia consente anche a chi non è d’accordo (e lo dice) di
rappresentare non più del 3 per cento della popolazione. Anzi, siccome a votare
non vanno più del 60 o del 70 per cento, il 3 per cento di quel 60 o 70 per
cento. Un diritto sacrosanto delle minoranze, l’essenza della democrazia. Ma un
potere troppo grande per una minoranza troppo piccola che rappresenta troppo
pochi. Ma è la democrazia, bellezza. Il migliore ma più autolesionista sistema
possibile.
In questo Paese chiamato Allegrezza a tentare
di far cadere il governo non è chi è fuori dal governo ma chi è dentro. Perché
chi è fuori, cioè all’opposizione, certamente non è dispiaciuto che cada un
governo non amico e nel quale non si riconosce. Tutto legittimo. Ma in una
atmosfera generale di parole senza limiti, di intenti senza misura, di
obiettivi senza un senso. In cui tutti i buoni non sono da una parte e i tutti
cattivi non sono dall’altra. In cui manca sempre una domanda e una risposta
sulle conseguenze. In cui la leggerezza dello sfascio è un virus molto più
antico di quello che sta distruggendo i nostri giorni. In cui la
irresponsabilità è sempre degli altri. E in cui la demolizione non cede a dubbi
in una china indifferente al precipizio. Uno smarrimento della ragione.
Sembra un mondo a sé che pare lontano dal
resto del mondo. Specie ora che secondo i sondaggi la maggior parte degli italiani
non capisce il perché di questa crisi che può ancor più fermare tutto.
Soprattutto non capisce quale possa essere ora una alternativa desiderando solo
quella di un ritorno alla perduta normalità. Non capisce cosa di meglio e di
diverso possa venire se non altre facce desiderando solo in questo momento la
differente speranza di mettersi alle spalle il dramma che sta vivendo. Avendo
ogni voglia di riprendersi la vita ma non quella forse di una campagna
elettorale mentre è stretta piuttosto fra tamponi e paure. Basta e avanza il
virus che mina le esistenze per poterne sostenere anche uno della politica.
Avendo magari in odio il governo che tanto la costringe e tanto la confonde. Ma
avendo bisogno suo malgrado di una guida, fosse solo per barcamenarsi fra zone
rosse, arancioni, gialle. Finché non finirà. Finché non finirà.
Abbiamo un Paese spaventato che nessuno
dovrebbe spaventare di più. Un Paese già di per sé incattivito, frustrato,
stanco quando riteneva che fosse tutto alle spalle. Un Paese che teme di dover
perdere altro oltre ciò che ha già perso. Un Paese in cui non
si può neanche prendere un caffè insieme dopo aver cominciato cantando l’inno
nazionale sui balconi. Un Paese recluso in casa. E un Paese non più avveduto di
chi lo rappresenta se purtroppo chiunque debba fare un sacrificio ritiene di
subire un’ingiustizia. Dai ristoratori che non possono riaprire, agli studenti
che non possono tornare in classe, ai medici che devono fare le diagnosi
veloci, ai teatranti che devono recitare nel deserto, ai calciatori che devono
giocare senza pubblico.
Sarebbe un momento, in questo Paese, dei
costruttori che il suo presidente ha invocato. Vede invece demolire. Lo vede
anche un’Europa sconcertata. Il Paese chiamato Allegrezza vive un tempo troppo
sbagliato per sbagliarlo ancòra di più.